1) Non è immediato e nemmeno scontato per il caregiver accettare la malattia del proprio caro.
Il percorso psicologico di accettazione assomiglia ad un lutto: si deve rinunciare, non per propria scelta, alla persona che, per anni, si è conosciuta, perché ci si trova di fronte una persona completamente diversa. In questo percorso ci sono delle fasi.
In un primo momento si nega di credere a ciò che sta accadendo. Questo può essere alla base di continue ricerche di nuovi pareri medici, di farmaci, di rabbia verso il proprio caro se non si comporta come prima (“ma come fai a non ricordarti?”, “ti pare il modo di comportarti?”, “Ma lo fai per farmi impazzire?”), di credere che i suoi siano “capricci” o “dispetti”. Successivamente si cerca di fare tutto ciò che il malato non riesce a fare (iperattivismo). Spesso non tarda ad arrivare la collera, logica conseguenza della frustrazione per il continuo investimento di energie che si rivela vano. Infine può presentarsi la fuga, tentativo di allontanarsi dall’ansia anche per conservare nella propria mente un’immagine del proprio caro coerente con quella che si è sempre avuta.
2) Si può fare molto per il proprio caro.
- Informarsi. Sapere come si evolve la malattia è importante per evitare di crearsi aspettative irrealistiche, per capire i comportamenti del proprio caro e sapere come approcciarsi a lui.
- Avere cura di se stessi. Potrebbe sembrare banale, ma non esaurire le proprie risorse emotive e fisiche è la base di un buon accudimento, oltre a prevenire situazioni di esasperazione che possono nuocere a voi stessi, alla vostra famiglia ed alla persona che accudite.
- Non isolarsi. Mantenere i contatti sociali, appoggiarsi agli amici, uscire è importantissimo per arrivare a situazioni di esaurimento fisico e mentale.
3) Le ferite psicologiche del caregiver si riaprono in continuazione, ogni volta che un il proprio caro presenta un nuovo deficit.
Purtroppo la demenza è una malattia devastante non solo per chi la vive ma anche per chi ha legami emotivi con la persona che la sviluppa. In questa malattia non si affronta una sola perdita. La perdita non si affronta una volta solama in continuazione.
4) chiedere aiuto prima che la situazione degeneri.
Non è mai tardi per chiedere aiuto, ma se ci si accorge di non sapere come fare ad andare avanti, di vivere una situazione di depressione, di ansia o di stress acuto è meglio chiedere un aiuto psicologico. Ci sono diverse forme di aiuto ed è bene conoscerle:
- Consulenze psicologiche di sostegno individuali.
- Colloqui sulle difficoltà di gestione per apprendere le modalità di gestione più corrette.
- Incontri di auto mutuo aiuto.
- Scambio di esperienze ed emozioni con altri caregivers sul modo di affrontare la malattia. Questi gruppi costituiscono un modo importante per uscire dall’isolamento relazionale ed avere un sostegno.
5) Il sentimento più diffuso tra i caregivers è il senso di colpa.
“Ho fatto tutto quello che potevo?”, “Ecco, mi sono arrabbiato, non sono un bravo figlio”, “Non so stare accanto a mia moglie nel momento del bisogno”. Queste sono solo alcune delle frasi che vengono in mente ai caregivers e spesso celano un senso di colpa logorante. Provare intensi sentimenti negativi è normale e spesso imbarazzo, rabbia, frustrazione, tristezza fanno da padroni e tendono a sfociare in senso di colpa.
Concludiamo affermando che non serve dirsi “non devo arrabbiarmi”, non c’è un modo corretto di emozionarsi in queste situazioni. Quello che è importante è non sottovalutare emozioni di questo tipo, chiedendo aiuto se necessario. Come già detto, ognuna di queste emozioni è del tutto lecita, ma se portata all’esasperazione, può essere alla base di stati depressivi intensi, disturbi d’ansia, aggressività ed altre condizioni che possono mettere in crisi il caregiver, il malato e l’intero nucleo familiare.
Dott.ssa Milena Barone – Psicologo Padova
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